Condanna per Nazzareno Calajò: 17 anni e 9 mesi per il presunto boss della droga di Milano
Nella giornata di ieri, il tribunale di Milano ha emesso una condanna di 17 anni e 9 mesi di reclusione per Nazzareno Calajò, noto come “Nazza“, sotto accusa per il suo presunto ruolo di “ras della droga” nel quartiere della Barona, uno dei storici sobborghi popolari a sud della città. La sentenza è il risultato di una vasta indagine condotta dalla DDA di Milano e dal ROS dei Carabinieri, che ha portato all’arresto di circa trenta persone coinvolte in un traffico di stupefacenti. Si tratta di un episodio di particolare rilevanza nella lotta contro il crimine organizzato legato alla droga nella metropoli lombarda.
Il contesto dell’inchiesta
L’origine delle indagini
Le indagini che hanno portato alla condanna di Calajò sono scaturite da accertamenti sull’attività di traffico di droga all’interno del carcere di Opera, un caso che ha smantellato ben sette gruppi dedicati allo spaccio di sostanze stupefacenti come hashish, marijuana e cocaina. Questi gruppi gestivano una serie di “piazze di spaccio” diffuse tra Milano e la sua area metropolitana, operando in un contesto altamente competitivo e violento.
La direzione dell’inchiesta è stata guidata dai pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco, i quali, attraverso intercettazioni e altre tecniche investigative, hanno mappato un complesso sistema di traffico e distribuzione di sostanze stupefacenti, nonostante i rischi e le sfide legate alla sicurezza in un contesto carcerario. La maxi operazione ha avuto come obiettivo principale la dismantelazione delle reti di distribuzione, e ha coinvolto numerosi arresti tra il maggio e il luglio 2023.
La struttura dell’organizzazione
Le indagini hanno rivelato l’esistenza di due associazioni dedite al traffico di droga: una guidata da Nazzareno Calajò e l’altra dal nipote Luca Calajò. Queste due entità operative, sebbene collegate da legami familiari, risultavano in competizione tra loro, generando conflitti interni che a loro volta alimentavano l’instabilità nelle loro operazioni. Questa relazione intricata ha complicato ulteriormente le indagini, rendendo evidente la necessità di disarticolare entrambe le organizzazioni per comprendere pienamente la portata del fenomeno criminale in atto.
Dettagli della sentenza
Le condanne degli imputati
Il verdetto del giudice Alessandra Di Fazio è stato reso noto dopo un processo con rito abbreviato, che ha coinvolto una decina di imputati, tra i quali figurano Luca Calajò, condannato a 16 anni e 2 mesi, e Andrea Calajò, figlio di Nazzareno, che ha ricevuto una pena di 9 anni. Inizialmente considerato un “organizzatore“, il ruolo di Andrea è stato rivalutato in “partecipe” dell’associazione, a seguito delle evidenze emerse durante il processo. La procura aveva richiesto per tutti e tre gli imputati condanne che avrebbero potuto arrivare fino a 20 anni, ma le ulteriori circostanze attenuanti hanno influenzato il giudizio finale.
Ricorso in appello
L’avvocato Niccolò Vecchioni, difensore di Nazzareno Calajò, ha comunicato l’intenzione di presentare ricorso in appello contro la sentenza, mostrando un certo ottimismo riguardo alle possibilità di ribaltare la decisione. La possibilità di contestare la sentenza rappresenta un passaggio fondamentale nel sistema giuridico e potrebbe continuare a tenere alta l’attenzione su questo caso.
Assoluzione di un imputato
Un punto interessante emerso dal processo è l’assoluzione di Massimo Mazzanti, accusato di associazione a delinquere. L’assoluzione è avvenuta in seguito a prove non sufficienti per sostenere le accuse a suo carico, e testimonia la complessità dei procedimenti legati al narcotraffico. L’esito della sua posizione mette in evidenza i rischi di erronee incriminazioni in un contesto già intriso di ambiguità e tensione.
Dinamiche di violenza e conflitti nel traffico di droga
Presunti propositi di omicidio
Le indagini hanno sollevato inquietanti dettagli riguardo a presunti propositi omicidi all’interno delle due fazioni Calajò, con evidenze di conflitti anche con ultras delle curve calcistiche milanesi. In particolare, emergono riferimenti ai contrasti legati alla figura di Vittorio Boiocchi, noto capo ultrà dell’Inter, assassinato a Milano lo scorso ottobre. Tuttavia, le attuali indagini non hanno evidenziato alcun legame diretto tra l’inchiesta sul narcotraffico e l’omicidio, nonostante le tensioni tra i due gruppi. Questa situazione mette in risalto la pericolosa interconnessione tra le dinamiche criminali legate allo spaccio di droga e il mondo del tifo calcistico, contribuendo a un panorama di violenza che rende difficile il mantenimento della sicurezza pubblica.
Un caso che evidenzia le sfide della giustizia
La condanna di Nazzareno Calajò rappresenta solo un passaggio in un contesto di lotta continua contro il crimine organizzato a Milano. La sentenza potrebbe influenzare le future operazioni della DDA e dei Carabinieri, mostrando l’importanza di una risposta concertata contro le attività mafiose che gravano sulle comunità locali. Con il ricorso in appello previsto dai difensori, il caso Calajò rimane aperto e pronto a svilupparsi ulteriormente, in un contesto di giustizia e ordine pubblico che continua a dover affrontare le sfide del narcotraffico.