Storie di evasioni dal carcere borbonico di Santo Stefano: un viaggio nel passato
Il carcere borbonico di Santo Stefano, costruito nel 1795, è un luogo intriso di storia e sofferenza. Rappresenta un emblema di isolamento, un edificio progettato per garantire un controllo totale sui prigionieri, con 99 celle disposte in un semicerchio invisibile al mare. La sua fama di indomabile inviolabilità è stata messa alla prova da vari tentativi di fuga, tra cui quello famoso di LUIGI SETTEMBRINI, eroe risorgimentale. Grazie al lavoro di ricerca condotto dal giornalista Vittorio Buongiorno, emergono le storie di coloro che hanno tentato di scappare, dando nuova vita a queste vicende dimenticate.
La storia del carcere borbonico di Santo Stefano
Un’architettura pensata per il controllo
Il carcere di Santo Stefano è stato costruito seguendo il modello del panopticon, concepito per massimizzare il controllo dei detenuti. Questo sistema architettonico permette a un singolo osservatore di visionare tutto l’ambiente carcerario senza essere visto, creando così un senso di costante sorveglianza. Le 99 celle, tutte orientate verso un punto centrale, rappresentano un simbolo di oppressione e disciplina. Situato su un isolotto a solo 2 chilometri dalla costa di Ventotene, il carcere è stato spesso battuto da venti impetuosi, aggiungendo un’atmosfera di isolamento e desolazione.
Un luogo di sofferenza e di speranza
Per molti prigionieri, il carcere è diventato un simbolo di sofferenza e desolazione, con tentativi di evasione che hanno scritto pagine drammatiche della storia italiana. Tra le storie più celebri c’è quella di Settembrini, un uomo di grande integrità morale, che sottolinea la drammaticità della vita nel carcere borbonico e la disperazione che spingeva i detenuti a tentare la fuga. Nonostante la rigidezza della sorveglianza e la quasi impossibilità di uscire, alcuni prigionieri hanno trovato il modo di evadere, sfidando le autorità e le circostanze.
La ricerca di Vittorio Buongiorno
Il germoglio di un’idea
La ricerca di Vittorio Buongiorno ha preso avvio da una visita all’isolotto di Santo Stefano e dalle storie raccontate da SALVATORE SCHIANO DI COLELLA, che hanno acceso in lui il desiderio di esplorare le evasioni del Novecento. L’analisi delle fughe ha richiesto una raccolta meticolosa di articoli di cronaca pubblicati tra gli anni ’30 e ’60 sui quotidiani italiani. Questo lavoro iniziale ha gettato le basi per una raccolta più organica di eventi, che si è evoluta in un progetto ben definito.
Un percorso di scoperte e sfide
Dopo questa fase preliminare, Buongiorno si è recato all’ARCHIVIO DI STATO DI LATINA, dove ha trovato documenti storici riguardanti l’ergastolo di Santo Stefano. Nonostante le difficoltà e i momenti di impasse, il giornalista ha svelato una serie di relazioni di guardie, informative di polizia e rapporti trasmessi durante le ricerche. Tra fact e fiction, queste informazioni hanno permesso di ricostruire episodi avvincenti e talvolta tragici, dando vita a storie umane di condannati che, all’interno delle difficoltà, hanno trovato dignità e umanità.
Un libro che riporta alla luce storie dimenticate
La nascita del progetto editoriale
Il percorso di ricerca ha portato alla creazione di un libro, il quale rappresenta non solo una testimonianza storica, ma anche l’emergere di emozioni umane dietro la dura realtà del carcere. Fabio Masi ha raccolto e sviluppato l’idea di Buongiorno, coadiuvato dal supporto dell’ASSOCIAZIONE PER SANTO STEFANO IN VENTOTENE. Grazie agli sforzi congiunti, è stato possibile pubblicare un’opera che esplora non solo le evasioni ma anche le storie di vita dei prigionieri, alcune delle quali più note e altre meno, ma tutte connesse da un filo comune di lotta e resilienza.
Un viaggio tra i vissuti umani
Oltre a restituire dignità alle storie di chi ha tentato di evadere, il libro offre un ritratto complesso della vita nel carcere borbonico. Ricordando i momenti di umanità durante la gestione di Eugenio Perucatti, emerge la straordinarietà di detenuti che, pur essendo stati condannati a pene severe, hanno dimostrato una straordinaria capacità di adattamento e una ricerca di dignità. Le narrazioni poste in questo libro non sono solo storie di fuga, ma testimonianze profonde della ricerca di libertà, di vita e di speranza, in un contesto di profondo isolamento e desolazione.